Parliamo di conservazione preventiva

Le origini della conservazione preventiva sono state da molti rintracciate nelle fonti scritte greche e romane riguardanti la cura e la manutenzione dei beni (soprattutto architettonici), l’importanza di mantenere in “buona salute" gli edifici e gli oggetti artistici era certamente ampiamente compresa dai nostri avi.

In Italia, la conservazione preventiva ha avuto, nei lontani anni settanta, un grande propulsore nella persona di Giovanni Urbani, storico dell’arte e restauratore, che fu direttore dell’Istituto Centrale del restauro dal 1973 al 1983 (vi consiglio a questo proposito l’articolo di sintesi di Simon Lambert sulla storia della conservazione preventiva in Italia, consultabile qui). Malgrado la visione di Urbani fosse del tutto innovativa e cogliesse in pieno l’essenza stessa della conservazione preventiva (che Urbani chiamava “conservazione programmata") come di una vera e propria attitudine capace di cambiare le sorti a lungo termine del nostro patrimonio artistico (e anche paesaggistico), il suo Piano Pilota per l’Umbria (1976) venne, per ragioni anche e sopratutto politiche, talmente ostacolato da fallire ancor prima di essere messo in atto.

Patria di due delle più importanti scuole di restauro al mondo, l’ISCR – Istituto Superiore del Restauro – a Roma, e l’OPD – Opificio delle pietre dure – a Firenze, l’Italia rimase così ancorata alla pratica dell’intervento diretto sull’opera singola (che sia essa una tavola dipinta o un affresco in una chiesa), situandosi purtroppo ai margini della pratica della conservazione preventiva che, anche se lentamente, andava affermandosi sempre di più nei paesi europei, come la Francia e l’Inghilterra.

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