Monitorare

Pergamena miniata effetti umidità

Il monitoraggio microclimatico é senza dubbio una delle azioni più frequentemente associate al concetto di conservazione preventiva. Temperatura e umidità sono spesso identificati come nemici invisibili, che agiscono progressivamente degradando le opere a volte in modo irreversibile. Come spesso accade, non sono questi due fattori in sè la causa del problema (si tratta di due parametri ambientali che esistono in natura!) ma la mancanza di gestione e la scarsa conoscenza che spesso si ha dei bisogni reali delle collezioni.

Alcuni istituti di ricerca hanno messo a punto degli strumenti per facilitare la lettura dell’impatto delle condizioni climatiche sulle collezioni, ad esempio l’Image Permanence Institute.

Sebbene possa destare alcune perplessità in merito alla estrema “semplificazione" della questione invece molto complessa delle condizioni ambientali di conservazione, personalmente trovo lo strumento del Dew Point Calculator molto interessante, non tanto per la precisione delle previsioni di degrado (solo su alcuni tipi di materiali costitutivi), ma perché può aiutare anche operatori poco esperti a comprendere con facilità se nel loro museo o deposito sussistono condizioni di vero rischio. Ovviamente, questo strumento non sostituisce in nessun caso la consulenza di un esperto, ma può ad esempio aiutare a giustificare la spesa per richiederne una. Il che, a mio avviso, é già molto.

Cercheremo di approfondire qui l’annosa questione dei “parametri ideali", che nel corso degli ultimi anni sono stati (e continuano ad essere) al centro di numerosi studi e conferenze – date un’occhiata al programma de recente convegno dell’IIC – International Institue for Conservation – sul tema della conservazione preventiva tenutosi a Torino a settembre del 2018: il clima vince decisamente su tutte le altre tematiche!

L’orientamento più recente infatti si allontana quasi radicalmente da quello diffuso fino a un decennio fa, secondo il quale per la buona conservazione delle collezioni, certi parametri “fissi" dovevano essere rispettati a seconda dei materiali costitutivi delle collezioni, e con margini molto ristretti, imponendo così a molte istituzioni l’istallazione di costose (quanto rischiose) macchine per il trattamento del clima interno. Non rispettare questi parametri significava infatti rischiare di vedersi negato un prestito da un museo per una mostra temporanea ad esempio, fatto non da poco nella programmazione culturale di una istituzione museale pubblica. (Questo succede ancora oggi, non illudiamoci, ma probabilmente meno di prima).

Oggi sono sempre più affermati alcuni concetti fondamentali che hanno aiutato il tema della gestione del clima ad evolvere verso modalità più “sostenibili" e ragionate.

Eccone alcuni:

  1. L’importanza del clima storico (chiamato a volte “curriculum climatico") delle collezioni. Un concetto semplice, secondo il quale é inutile cercare di esporre o conservare collezioni in condizioni cosiddette “ideali" se per secoli queste sono state conservate o esposte in contesto non ideale (pensate alla “secchissime" tombe dei faraoni, un clima del tutto incompatibile con le collezioni – sulla carta-  che però ha permesso a oggetti inestimabili di attraversare alcuni millenni fino a noi!). Uno scienziato italiano in particolare, Dario Camuffo, si é occupato di questo tema. Queste ricerche sono confluite nella norma UNI EN 15757: 2010 “Conservazione dei beni culturali -Specifiche concernenti la temperatura e l’umidità relativa per limitare i danni meccanici causati dal clima ai materiali organici igroscopici" che per prima cita la conoscenza del clima storico come elemento chiave per la buona gestione delle condizioni ambientali di una collezione (specialmente se costituita da materiali organici).
  2. La coscienza ecologica sempre più presente nel mondo museale, che comincia a riflettere sempre più spesso ad alternative meno “energivore" delle classiche centrali di trattamento climatico e a ripensare in chiave sostenibile le soluzioni per limitare i danni e i rischi derivati da cattive condizioni climatiche (quando per “cattive", lo ripetiamo, si intendono condizioni non idonee alle collezioni nel loro contesto e con la loro storia – non rispetto a norme fisse). Sarah Staniforth, da quarant’anni al National Trust in Inghilterra, si occupa specificamente di questa tematica in diversi gruppi di studio e ricerca.
  3. Le ricerche scientifiche svolte negli ultimi anni da team di ricerca di altissimo livello -parliamo di istituzioni del calibro dell’Università di Yale, e in particolare dell’Institute for the preservation of Cultural Heritage e del Getty Conservation Institute, entrambi negli USA – che hanno concentrato i loro sforzi nell’analisi della risposta dei materiali di origine organica alle variazioni climatiche. La maggior parte di questi studi ha dimostrato che la reazione degli oggetti (oggetti veri, non campioni artificialmente realizzati in laboratorio!) alle fluttuazioni del clima non é così immediata e catastrofica, come si credeva un tempo, aiutando chi gestisce il clima delle collezioni a prendere decisioni più ponderate e spesso meno costose.